Rinaturalizzare e rivitalizzare i corsi d'acqua: il Torrente Rupinaro


Le criticità riscontrate lungo i corsi d'acqua sono di natura complessa: il ventaglio si estende dall'ordinaria manutenzione, al fenomeno dell'inquinamento, alla mancata depurazione, al consumo di suolo, all'erosione delle sponde andando a caratterizzare la vulnerabilità dei nostri territori.

E' chiaro! Non è sufficiente una politica basata sulle opere, serve un cambio di rotta per una gestione dei corsi d'acqua basata su strategie in grado di mettere al centro la conservazione e il ripristino del "capitale" naturale. La politica - lo dimostrano tristemente le scelte adottate - non sembra essere pronta a tale cambio di paradigma. Torrenti e fiumi sono rappresentati meramente in termini di problemi e di criticità e vengono coerentemente trattati come tali: sono degradati a canali di scolo ... La sola funzione tecnica in un colpo solo sbaraglia - nella visione miope degli amministratori del bene pubblico - le istanze naturalistiche, quelle estetiche e paesaggistiche, sociali ed economiche ... I fiumi non sono solamente canali d'acqua, ma rappresentano ecosistemi complessi e dinamici, sono ... "flussi di vita" con i quali convivere, o meglio, imparare a convivere. Non solo acqua, ma habitat ambientali per fauna e flora a rischio di scomparsa ...

Se la classe politica non è pronta, lo sono invece la tecnica, la conoscenza e la ricerca come sta a dimostrare una lunga tradizione di studi iniziata a metà degli anni Ottanta del secolo scorso: l'ecological river restoration, ovvero opere di riqualificazione fluviale adottate per migliorare le condizioni ecologiche dei corsi d'acqua e degli ecosistemi ad esso connessi attraverso l'impiego di strategie di ingegneria naturalistica

Il caso del Torrente Rupinaro di Chiavari.

Il nome del torrente, Rupinaro, è di origine medievale e deriva dal termine “Ruinâ”- Ruvinale- Rupinaro. Il termine ha quindi il significato di Rovinale, cioè area rovinata, o per meglio dire creata dalle inondazioni. 

Prima del 1800 il Rupinaro non era stato ancora arginato e ad ogni piena si riversava nei piani circostanti, chiamati La Franca, nell’odierna zona chiavarese di via Col. Franceschi. Recentemente grazie al confronto di più cartine si è potuto notare che in quel periodo esisteva all’altezza di via Gaetano Descalzi una grossa isola a cui si accedeva attraverso un ponte (una vecchia mulattiera ancora oggi presente). L’isola divideva il torrente in due ruscelli ai lati che si ricongiungevano prima di giungere in Corso Genova, dove si divideva definitivamente in due rami. Uno molto grosso che girava ed andava a sfociare nella zona degli scogli, l’attuale zona di Piazza Gagliardo; il secondo, di più modeste dimensioni, giungeva direttamente al mare seguendo il corso rettilineo del torrente e, quando il ramo si riempiva, andava a coprire quel terreno chiamato dei “Mandracchi”. I Mandracchi venivano utilizzati dai benestanti dell’epoca per andare a caccia di uccelli marini ed anatre. Questi terreni si estendevano dall’odierna Piazza Milano sino a Via Prandina.

Nel 1900 i Mandracchi diventarono un fittissimo ed enorme canneto, con la sola presenza di pochi orti. Ma la vita di questo habitat venutosi a creare terminò quando nel 1930 i canneti vennero bonificati e nacque il quartiere di Marina Giulia. Successivamente, durante la Repubblica di Genova, il prete Vincenzo Lagomaggiore arginò il torrente ed unì i due rami in uno unico più grande.


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