Per il recupero degli uliveti abbandonati 2/2



Pubblichiamo la seconda parte delle riflessioni di Rino Vaccaro.

Oltre il territorio collinare c’è anche quello fluviale che merita attenzione. Negli anni 70 ho organizzato per conto di Italia Nostra e della Lega ligure per le autonomie locali, il primo convegno sul fiume Entella dal titolo: ”Entella un fiume da salvare“. Le conclusioni erano che molte erano le minacce presenti e di diversa natura; anche allora la franosità e il dissesto idrogeologico, la carente manutenzione delle sponde e la inadeguata gestione del territorio a monte. La captazione dell'acqua in Val Fontanabuona per consentire ai comuni della costa consumi idrici esagerati per piscine, campi golf e porti turistici. La situazione non è cambiata negli anni e la siccità estiva uccide la fauna ittica e impedisce anche l'agricoltura e l'orto frutta locali. La gestione privata dell'acqua, come è noto, ha impedito un serio risparmio energetico e sistemi di depurazione adeguati in tutto il Tigullio per anni fino ai giorni nostri.



Anche escavazioni e prelievo eccessivo della sabbia hanno creato problemi: i due porti di Chiavari e Lavagna hanno ridotto il naturale ripascimento degli arenili con costi esorbitanti per trasportare camion di sabbia dalla foce del fiume alle spiagge. Il fiume bene comune veniva fruito da molti per interessi privati: dai cacciatori (prima dell'istituzione dell'Oasi faunistica) a insediamenti di aziende piccolo industriali in vicinanza delle sponde con vari scarichi inquinanti; mentre gli orti lasciavano spazio ad usi incongrui come depositi, parcheggi, rottamazioni, etc.. Quindi il convegno non pensava, come si afferma attualmente, ad un Contratto di Fiume tra soggetti privati ma ad un intervento pubblico che doveva avvalersi di competenze geologiche, naturalistiche e paesaggistiche (perché anche il paesaggio fluviale era minacciato) con risorse adeguate. Dopo di allora la situazione è peggiorata con:
- il progetto di un muraglione assurdo sulla sponda di lavagna invece del ripristino del “seggiun”considerato che la recente alluvione non ha portato danno agli orti mentre sembra un intervento funzionale a nuove edificazioni;
- il progetto demenziale di un'area di colmata davanti alla foce (dove portare i detriti del tunnel Rapallo-Fontanabuona).
Come è noto prima viene la valutazione del business, poi la convenienza di banche e imprese: poi gli enti locali si adeguano ovviamente per l'intreccio tra poteri pubblici e privati.

Nessuno che consideri prioritaria la tutela del bene fiume, dell'avifauna, delle specie arboree, della biodiversità, del paesaggio!

Prima dell'Entella è esondato il ministro Del Rio: con la soppressione delle Province e la creazione della Città metropolitana senza competenze e senza risorse, in un rimpallo di responsabilità con la Regione mentre la gestione fluviale richiederebbe una visione di insieme senza sopravalutare gli aspetti urbanistici ed economici e anche giuridici per evitare conflitti di competenze o assenza di competenze chiaramente attribuite o, come spesso avviene, attribuzione di competenze senza risorse. La Città metropolitana indica un ruolo egemone rispetto al territorio periferico: non è un problema semantico ma politico anche difficile da affrontare anche se molti hanno capito che i comuni minori decideranno ancora meno. Anche l'idea di Renzo Piano di fermare la dilagante urbanizzazione creando una cintura verde attorno alla città - copiando il green belt di Londra - non convince perché Genova ha già le edificazioni in collina lontane dalla città che si sono rivelate un disastro: dal “biscione” alle “ lavatrici”. Penso al contrario che città e campagna debbano comunicare ripristinando i vecchi sentieri che entrano nella città dalla collina; come anche fiumi e mare e boschi uniscono “urban e rural district”.

Quali livelli di autorità partecipata? Quali diritti di essere ascoltati e di avere risposte pertinenti?
Come il taglio arbitrario di risorse per i parchi regionali nato da un pregiudizio ideologico e dalla miopia amministrativa! Parole quali ri-progettazione del paesaggio, verde attrezzato e similari destano qualche preoccupazione; a meno che non si tratti di recupero di aree degradate, l'idea di lasciare un segno architettonico confligge spesso con la conservazione degli habitat. Il verde è meglio
se non è attrezzato a meno di interventi leggeri come una pista ciclabile, una panchina, una staccionata. Quindi cura del territorio come manutenzione (quella che facevano i contadini sui ruscelli e i sistemi di irrigazione (come ha ricordato Marco Bertani) piuttosto che alterazione come, ad esempio, la cementificazione delle ripe o l'intubazione di ruscelli e l'interramento di pozzi in disuso etc... Meglio la ri-naturalizzazione degli argini, la riforestazione, la tutela della biodiversità e interventi contro il degrado geologico. Occorre anche tutelare quei “valori d'insieme” come un paesaggio fluviale o un nucleo rurale o altre testimonianze della cultura materiale (come i pozzi a cicogna neppure censiti).

Negli uffici regionali e dell'area metropolitana esiste una ridondanza di dati e mappe statistiche non tutte utili mentre non si riesce ad avere:
- la mappa delle risorse idriche (oltre torrenti e affluenti anche sorgive e vene sotterranee etc.);
- la mappa dei sentieri di antico impianto;
- il sistema acquedottistico e della rete nera nel suo sviluppo storico (eppure ogni nuovo tratto è stato accompagnato da una delibera e da un finanziamento ma sembra che se ne siano perse le tracce!). Ma ogni seria programmazione urbanistica deve partire da una conoscenza dello stato di fatto (della evoluzione degli interventi insediativi e delle modifiche intervenute nel tempo, anche irreversibili, che hanno cambiato l'identità dei luoghi).

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