Osservazioni al piano del Parco di Portofino



Proponiamo uno stralcio tratto dall'articolo di Rino Vaccaro dal titolo Portofino: Parco Nazionale. Ripensare il sistema dei parchi liguri scritto un paio di anni fa e di tuttora di strettissima attualità.


Il sistematico sabotaggio da parte di molti sindaci e di comitati anti–parco ha di fatto da sempre impedito un serio confronto su aspetti naturalistici, culturali e urbanistici che avrebbero dovuto essere alla base del piano; partendo da una conoscenza approfondita dei valori del territorio, della sua fragilità, degli aspetti in atto di involuzione e regressione determinati da una pressione antropica e da un uso intensivo delle risorse naturali, in qualche caso da un feroce sfruttamento che ha comportato un mutamento di carattere irreversibile della identità dei luoghi.

Un piano del parco non è un piano urbanistico, anche se ovviamente non può non incidere oltreché sugli assetti vegetazionali e naturalistici anche su quelli insediativi, senza tuttavia esaurirsi in essi; la tutela della flora e della fauna e quindi il divieto di caccia sono aspetti altrettanto importanti del controllo urbanistico; non si altera il territorio soltanto con la compromissione edilizia in cui ha primeggiato Rapallo.



La tutela della fauna è del tutto inadeguata; di fatto ciò che interessa non è la tutela degli habitat ma la cacciabilità delle specie, persino nelle aree comprese nei Sic (Siti di interesse comunitario). Discorso a parte riguarda la biocenosi marina, la fauna ittica, la presenza di corallo etc.; anche se in questi anni ha operato positivamente la riserva marina ridotta purtroppo nelle dimensioni alla sola Cala dell’oro o poco più. Il Parco (nei confini del ’95) offre da sempre un riparo indisturbato per l’avifauna, che qui è rappresentata da un elevato numero di specie di uccelli nidificanti e di passo. Il promontorio di Portofino costituisce infatti l’habitat ideale di sosta durante le migrazioni: in primavera è il primo approdo nel lungo viaggio verso il nord e in autunno si trasforma nel “trampolino di lancio” per il ritorno verso il sud. Tra i migratori ricordiamo l’airone rosso, l’airone cinerino e la garzetta. Di particolare interesse il biancone, rapace mangiatore di serpenti, e l’upupa.” (tratto da: L’Italia dei Parchi Fabbri Ed, in coll. con Airone). Non viene spesa neppure una parola sulla tutela attiva della fauna selvatica. Perché non tenere in considerazione la evoluzione nel tempo dei dati ambientali per intraprendere un serio discorso di vera tutela nel rispetto di quegli equilibri che possono realizzarsi solo attraverso una oculata azione difensiva degli habitat? Azione difensiva che, per ovvi motivi, è in netta contrapposizione con l’attività antropica promossa dallo stesso “Piano”. Migliaia di parole vengono spese nel “Piano” per definire come realizzare strade, case, ecc. all’interno di quello che potrebbe essere definito ormai l’ex Parco di Portofino per il modo con cui viene cancellata l’integrità naturalistica del promontorio. Un Parco che poteva contare su 47255 ha che interessava i comuni del litorale da Recco a Chiavari e indirettamente strategico per l’area metropolitana di Genova! Anche la tutela della flora viene di fatto subordinata ad ogni altra funzione economica del territorio.

Per quanto riguarda il paesaggio non c’è alcuna riflessione seria e neppure una analisi della qualità e della identità dei luoghi; una conoscenza della morfologia del territorio, per non parlare della sintassi complessa del paesaggio non solo dal punto di vista geologico ma appunto paesistico, senza comprendere la diversità compositiva (geologica, vegetazionale e faunistica del territorio) e la sua specificità mediterranea.

Il divieto di nuove edificazioni, ovvio in un’area parco, è la condizione indispensabile ma non sufficiente per il piano di un parco. Il territorio non è considerato nella sua qualità naturalistica. Neppure sono valutati i suoni, i colori, i profumi, il vento che piega le chiome dei pini sulla costa la diversità anche biologica tra aree esposte al sole e quelle all’ombra, la presenza di sorgive, pozzi d’acqua, cisterne canalizzazioni, etc.) forse considerati come aspetti marginali o inesistenti. Il divieto di sorvolo nelle aree parco, e l’inquinamento da rumore dei mezzi motorizzati ma anche delle radioline a tutto volume etc. richiederebbe un piano rumore per il parco, diverso da quello delle città della costa proprio perché il silenzio, come i suoni e i rumori del parco, sono particolari.

La letteratura di riferimento del piano è di matrice “edilizia”, non irrompe la cultura dei pittori, dei musicisti, degli scrittori che hanno compreso, nel tempo moderno e antico, l’anima arcana di un sito unico per il nesso natura-cultura che lo caratterizza. Non c’è alcun segno di una lettura attenta della storia dei manufatti storico-artistici, in particolare dei santuari e dei monasteri con il ruolo svolto dal monachesimo medioevale sulle pratiche culturali e anche sugli assetti vegetazionali, ma neppure delle testimonianze della cultura materiale dei secoli successivi. Sarebbe stato necessario fondare il piano sulla verifica, certificazione e monitoraggio dei dati ambientali per poi costruire linee di intervento volte alla tutela e al ripristino ambientale; con un quadro di riferimento anche normativo e regolamentare per disciplinare le forme della fruizione e i tetti invalicabili nell’uso delle risorse (rinnovabili e non) e per garantire una sostenibilità delle attività produttive ed economiche che interessano l’area parco.

Non manca solo un impianto culturale e un approccio sistemico, mancano anche analisi settoriali aggiornate: dal turismo compatibile; alla promozione dell’agricoltura naturale; alla tutela del patrimonio forestale, di quello storico, artistico, ambientale; alla conservazione delle testimonianze della cultura materiale (in particolare dei sentieri di antico impianto); del sistema delle acque e del loro utilizzo (che è stato, come nel caso delle piscine, del tutto incongruo) disincentivando ogni spreco; dall’avvio di una politica energetica (sistema dei rifiuti: della raccolta differenziata, del recupero, del riciclo e del riuso) come si addice ad un’area parco, avviando anche a livello sperimentale soluzioni innovative del tutto possibili a piccola scala; al sistema di depurazione delle acque; all’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili (solare, eolico, ecc.); ai disincentivi nei confronti della pressione insediativa (in prevalenza dalla valle padana e che sembra in questi anni inarrestabile); dalla riduzione dei carichi inquinanti, che minacciano l’area parco, all’esigenza di limitare e scoraggiare l’uso dell’auto e della motonautica, contrastando l’assedio automobilistico e fornendo soluzioni di accesso e percorrenza che possano alleggerire le conseguenze dei pesi insediativi ormai prossimi alla completa ingovernabilità. Le scelte viabilistiche e infrastrutturali in atto in prossimità dell’area delimitata (trafori, superstrade, parcheggi etc.), non contrastate dal piano, vanno in senso contrario alle esigenze di fruibilità della risorsa parco. Se il quadro normativo è quello descritto si deve riconoscere che la gestione del parco terrestre è stata positiva e molti sono i progetti e le realizzazioni. Quello che vediamo, tuttavia, è una sorta di amnesia del paesaggio e una sorta di invisibilità dei beni ambientali che riguarda non solo i parchi: basta pensare allo stravolgimento della forma città in Liguria …e non solo a Rapallo. Aggiungo che il territorio non compreso nelle aree parco è comunque di grande valore paesistico, architettonico, urbanistico: dai centri rurali, ai sentieri di antico impianto, ai boschi, ai corsi d’acqua, ai laghi, alle visuali ancora non deturpate da edificazioni incongrue.

La difesa dei parchi avviene spesso sulla difensiva all’insegna del fare merchandising del così detto “parco produce” che è una verità documentabile: ad esempio, nel parco del Beigua è stato definito un importante intervento, insieme al WWF, con un fondo svizzero per lavori sulla forestazione; la creazione di marchi per decine di prodotti della filiera agroalimentare; incentivi all’agriturismo; centri didattici e altro ma questo intervento virtuoso non deve mettere in ombra i problemi della tutela; mentre per i flussi turistici nascono nuovi problemi, come nel Parco delle Cinque Terre dove non sanno come regolamentare la grande affluenza. Problemi noti ma ricordiamoci che l’enfasi sulla fruizione e la produttività del bene parco  avviene solo dopo una tutela rigorosa; altrimenti confondiamo il Parco di Portofino con la piazzetta e la notorietà dei frequentatori. Ma il parco è un’altra cosa. I nemici dei parchi per la verità non sono solo speculatori immobiliari e cacciatori; anche se è di tutta evidenza che, qualora cadessero le tutele per l’area parco, per costruire dentro il parco come si è fatto a Rapallo anche piccoli proprietari potrebbero entrare nel business immobiliare, oggi dominato da banche e grandi investitori.

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